Il potere del vero ritmo


Com'è possibile, in un'epoca di completo straniamento dalla natura, ritrovare fiducia e naturalezza? Non c'è che una via: chiedere più a se stessi che agli altri, far leva sul proprio senso dell'equilibrio, non cedere alle mode o alle mezze verità. Se sappiamo resistere vittoriosamente all'ambiente che vorrebbe vincolarci a ogni costo e a nostro danno, ritroveremo il nostro ritmo di vita riconquistando anche la pace e la fiducia in noi stessi.
Il ritorno in noi stessi ci farà anche capire che la formazione del nostro ritmo individuale di vita è indissolubilmente legata al ritmo dell'ambiente; perché un vero carattere si forma confrontandosi con gli altri, non chiudendosi in se stessi. Soltanto i confusionari vedono in se stessi un ritmo autonomo. Queste osservazioni mi inducono a ritornare sulla rigida e meccanicistica organizzazione della simmetria che noi europei colti tanto amiamo. Non so quale spirito maligno abbia suggerito l'idea che il giusto ritmo debba necessariamente procedere per gruppi di tempo uniformi: nulla lo giustifica. È certamente comodo, ma di una comodità malsana e innaturale, che un movimento si svolga in gruppi uniformemente simmetrici.
La suddivisione asimmetrica è infinitamente più viva di quella simmetrica, e anche più salutare sotto ogni aspetto, perché ci scuote, mentre la suddivisione uniforme ci lascia del tutto indifferenti.
Pur convinti della maggiore naturalezza e vitalità della asimmetria rispetto alla simmetria, vogliamo tuttavia conservare a entrambe il loro rispettivo valore. Contestiamo però alla suddivisione simmetrica la preminenza su quella asimmetrica. Per quale motivo? Per garantire alla natura i suoi di- ritti. In tutta la natura vivente non esiste un solo composto attivo rigorosamente simmetrico, perché la rigida simmetria provoca inevitabilmente la paralisi. Lo stesso organismo interno dell'uomo - che non è né destro né mancino, sono soggetti all'asimmetria. Lo stesso ritmo della respirazione è asimmetrico. In effetti, la simmetria. teoricamente perfetta è più un prodotto della mente che del- la natura, e una bella simmetria non è matematicamente esatta. Ora, per la musica naturale questa disuguaglianza è così ovvia che, ad esempio, la suddivisione di 7 in 3+4 vale come unità di due tempi in cui il secondo è semplicemente un po' più lungo del primo.
Le cosmogonie antiche consideravano come unità di tal genere anche ogni sana relazione umana; e non è certamente per una scelta gratuita che soprattutto nel simbolismo antico i numeri dispari rappresentassero le unità sacrali a cui si attribuivano poteri salvifici e fecondi. Se suddividiamo in 3+4 l'antico numero sacrificale 7, in rapporto alle relazioni fra due individui, chi è abituato a contare soltanto aritmetica- mente troverà che il gruppo ternario è in svantaggio rispetto a quello quaternario. Ma di fatto il 3 non è minore del 4, perché rappresenta una qualità profondamente diversa dal 4. Non
costituisce neppure una qualità inferiore, bensì una diversa, assolutamente non confrontabile quale parole: nel 7 sono presenti due qualità differenti che si e nessuna è inferiore all'altra, presupponendo ovviamente che ciascuna parte possegga interamente e realmente la propria qualità. Nel simbolismo antico, fra il 3 e il 4 intercorre la medesima relazione che fra uomo e donna, relazione che nella musica viene espressa con le danze a ritmo 7/4 0 7/8. Ora siamo anche in grado di afferrare meglio il significato proprio del ritmo. Il ritmo è un'articolazione qualitativa, non quantitativa, del tempo e dello spazio. Oscillando nella ripetizione continua, esso ruota intorno a un centro inafferrabile, che è però il punto focale della relazione che si stabilisce tra due qualità o due individui, premesso che ciascuna qualità è chiaramente caratterizzata e, di conseguenza, permette all'altra di esprimersi. Quando invece una parte interferisce nell'altra, la relazione scompare. La parte invadente ed eccessiva perde la propria qualità e comunicabilità nel tentativo di occupare uno spazio su cui non ha alcun diritto, e che non è in grado di riempire. Nella sua ultima astrazione, il ritmo è il modo più profondo della vita spirituale. Di conseguenza non è mai un fenomeno cosciente. Come ogni vera esperienza, dapprima è vis- suto in maniera del tutto inconsapevole. Avere il senso del ritmo significa vivere entro un moto e un processo senza la ben- ché minima consapevolezza. Il ritmo diviene cosciente sol- tanto in un secondo tempo, quando, dopo esserci affrancati dall'esperienza semplicemente vissuta, ci rappresentiamo retrospettivamente le cose derivandone sgomento o gioia.
Poiché l'uomo è fondamentalmente inconsapevole del suo ritmo più intimo, la sua natura si rivela dal ritmo inconscio del suo linguaggio molto meglio che dalle parole e dalle idee che egli occasionalmente esprime. Non percepiamo la verità o la falsità delle sue parole, bensì l'autenticità o l'artificiosità del suo ritmo. Radicato nelle profondità dell'inconscio, invece che nella consapevolezza dello spirito, il ritmo è autenticità e schietta comunicabilità. Chi, con la parola o con il comportamento, vuole celare il proprio essere, si serve sempre del ritmo. La natura di tale ritmo dipende certamente dalla costituzione dell'individuo. Ma la musica e le danze dei popoli primitivi testimoniano quale grandiosità raggiunga l'uomo, e la portata delle sue possibilità ritmiche, qualora egli si affidi alle doti di cui la natura lo ha fornito. Anche in questo caso è singola re la presenza continua e dominante delle grandi unità di tempo, proprie del simbolismo antico. Un canto boscimano, ad esempio, suddivide il 12 alternativamente in 3×4 e in 5+7. Non incontriamo mai la simmetria, banale e puramente quantitativa, perché tutte le possibili suddivisioni vengono sfruttate e valorizzate.
L'esercizio di un simile costante mutamento sarebbe una medicina spirituale per tutti coloro che ritengono di non poter rinunciare ai principi o di avere sempre e necessariamente ragione. Si tratta di un modello di elasticità e di equilibrio. e chiunque si sforzi di assimilarlo spiritualmente sarà presto capace di guardare con occhi diversi anche gli alti e bassi della mutevole fortuna. L'attuazione delle doti ritmiche naturali dell'uomo presuppone però due qualità spirituali: la fiducia nella docilità e nella sicurezza del ritmo naturale, e la capacità di concentrarsi nel suo ascolto. Quest'ultima consiste nel sentire il ritmo ascoltato o veduto al punto di identificarsi totalmente con esso. Ciò che si sente deve trasformarsi in noi in realtà psicofisica e diventare parte integrante del nostro pensiero e dei nostri movimenti corporali. L'iniziazione più profonda nella vita ritmica è però fornita dall'ascolto. Ascoltare significa prestare attenzione, e l'uomo stesso è l'oggetto del suo ascolto. In effetti, nulla può favori- re il suo ritmo vitale quanto l'ascolto umile e obbediente del- la natura. L'obbedienza acustica è la forza più grande dell'uomo perché nessun organo sensorio può, come l'udito, pene- trare l'inconscio. Per l'antica filosofia indiana la shruti, ciò che è udito, era la fonte di ogni conoscenza. Quando parliamo di ascolto, non intendiamo soltanto l'ascolto delle scritture sacre ma anche il contatto verbale diretto fra maestro e allievo. Lo stesso apostolo Paolo dice che la fede, ossia la for- za e la fiducia, deriva dall'ascolto.
Per nostra sfortuna, oggi separiamo in modo troppo netto. il divertimento e l'arte, la filosofia e la religione dal cosiddetto impegno nella vita, e così disperdiamo quotidianamente quasi tutte le ricchezze che le ore di svago ci forniscono. L'uomo non sofisticato non conosce tale frattura. Pensiamo, ad esempio, alla potenza esercitata dalla retorica ritmica presso i popoli primitivi e presso le civiltà evolute. Anche se da noi quest'arte è ancora sfruttata, ad esempio da un avvocato o da un abile venditore, l'arte della persuasione può essere larga- mente sostituita dai cartelloni pubblicitari; fatto, questo, che indica come le catene dell'arte persuasiva facciano leva più sulla mente che sul sentimento vitale diretto. Motivo per cui gli slogan correntemente e ostinatamente composti per l'occhio, ma non per l'udito, non posseggono un potere risoluto - liberano l'uomo ma, martellandone la mente, tendo- ad abbatterlo. Il corpo non viene coinvolto, mentre la caratteristica essenziale del ritmo musicale naturale è precisamente di tendere a trasformarsi in movimenti corporali. Questo è appunto il valore costruttivo della musica nei confronti dell'uomo. Il ritmo musicale non è un fenomeno puramente intellettuale, bensì una forza psicofisica che trasforma i movimenti corporali in esperienza psichica e, viceversa, fornisce un contrappeso corporale alla sensibilità spirituale.
L'uomo è l'oggetto del proprio ascolto. Ma ciò che conta è il modo in cui ascolta: può lasciarsi afferrare da ciò che ascolta, oppure esserne soltanto sfiorato. L'ostacolo più grave al- l'influenza del ritmo è frapposto dalla nostra mente troppo analitica, a cui va imputata la definizione, inadeguata e addirittura falsa, secondo cui il ritmo è la « divisione aritmetica del tempo»; definizione che non corrisponde alla realtà naturale e che è frutto di una mentalità puramente teorica. Simile suddivisione matematicamente precisa e rigida del tempo, escogitata dalla mente umana, è definita "spigolosa" da Ludwig Klages, che paragona invece il ritmo autentico alla oscillazione libera di un legno che galleggi dondolandosi al leggero moto di uno specchio d'acqua, senza angoli e spigoli, Ossia senza limiti rigidi nel movimento ma con uno sciolto susseguirsi di spostamenti laterali. Pertanto ogni tipo di mu- sica è veramente ritmica soltanto quando le cosiddette battute non danno l'impressione di durezza ma muovono elastica- mente verso il loro centro di gravità.
Chi canta con rigida simmetria si stanca. Chi invece respira liberamente, seguendo una certa asimmetria o elasticità, cantando si sente sollevato; e questo perché la ripetizione periodica di tale ritmo non affatica il respiro ma lo fa riposa- re nell'asimmetria naturale, e inoltre, non costringendolo in un sistema innaturale, lo facilita progressivamente. Mentre la successione periodica di due tempi uguali ci costringe in uno schema, la successione di due tempi disuguali ci procura equilibrio e leggerezza. L'asimmetria non forza né l'impulso motorio corporale né l'elemento specificamente spirituale, basandosi su un fatto psicologico che oscilla intorno a un centro, come un galleggiante. Da tale centro dipendono la possibilità e l'ordine di tutto l'accadere, anche se il centro stesso è per noi sempre inafferrabile.


- Tratto da: Il significato della musica _ https://www.ibs.it/significato-della-musica-libro-marius-schneider/e/9788877106834


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